mercoledì 28 novembre 2012
martedì 20 novembre 2012
"Per un cuoco è magico essere qua" (Enrico Crippa)
"Per un cuoco è magico essere qua. I langaroli sono abituati a mangiar bene. I prodotti di questa zona sono spettacolari e la gente li compra e li mangia ogni giorno, in ricette semplici o elaborate" (Enrico Crippa)
"...Burro, quantum prodest [...]. Burro, quantum sufficit, non più, ve ne prego"
"...Burro, quantum prodest [...]. Burro, quantum sufficit, non più, ve ne prego; non deve far bagna, o intingolo sozzo: deve untare ogni chicco, non annegarlo..."
(Carlo Emilio Gadda)
Carlo Emilio Gadda "Il risotto alla Milanese"
“L’approntamento di un buon risotto alla milanese domanda riso di qualità, come il tipo Vialone, dal chicco grosso e relativamente più tozzo del chicco tipo Carolina, che ha forma allungata, quasi di fuso. Un riso non interamente «sbramato», cioè non interamente spogliato del pericarpo, incontra il favore degli intendenti piemontesi e lombardi, dei co
“L’approntamento di un buon risotto alla milanese domanda riso di qualità, come il tipo Vialone, dal chicco grosso e relativamente più tozzo del chicco tipo Carolina, che ha forma allungata, quasi di fuso. Un riso non interamente «sbramato», cioè non interamente spogliato del pericarpo, incontra il favore degli intendenti piemontesi e lombardi, dei co
ltivatori diretti, per la loro privata cucina. Il chicco, a guardarlo bene, si palese qua e la coperto dai residui sbrani d’una pellicola, il pericarpo, come da una lacera veste color noce o color cuoio, ma esilissima: cucinato a regola, dà luogo a risotti eccellenti, nutrienti, ricchi di quelle vitamine che rendono insigni i frumenti teneri, i semi e le loro bucce velari. Il risotto alla paesana riesce da detti risi particolarmente squisiti, ma anche il risotto alla milanese, un po’ più scuro, è vero, dopo e nonostante l’aurato battesimo dello zafferano. Recipiente classico per la cottura del risotto alla milanese è la casseruola rotonda, e la ovale pure, di rame stagnato, con manico di ferro: la vecchia e pesante casseruola di cui da un certo momento in poi non si son più avute notizie: prezioso arredo della vecchia, della vasta cucina: faceva parte come numero essenziale del «rame» o dei «rami» di cucina, se un vecchio poeta, il Bassano, non ha trascurato di nominarla ne’ suoi poetici «interni», ove i lucidi rami, più d’una volta, figurano sull’ammattonato, a captare e a rimandare un raggio del sole che, digerito dagli umani il pranzo, concoto prandio, decede. Rapitoci il vecchio rame, non rimane che aver fede nel sostituto: l’alluminio. La casseruola, tenuta al fuoco pel manico e per una presa di feltro con la mano sinistra, riceva degli spicchi o dei minimi pezzi di cipolla tenera, e un quarto di ramaiolo di brodo, preferibilmente brodo al foco, e di manzo: e burro lodigiano di classe. Burro, quantum prodest, udito il numero dei commensali. Al primo soffriggere di codesto modico apporto butirroso-cipollino, per piccoli reiterati versamenti sarà buttato il riso: a poco a poco, fino a raggiungere un totale di due tre pugni a persona, secondo appetito prevedibile degli attavolati: nè il poco brodo vorrà dare inizio per sé solo a un processo di bollitura del riso: il mestolo (di legno, ora) ci avrà che fare tuttavia: gira e rigira. I chicchi dovranno pertanto rosolarsi e a momenti indurarsi contro il fondo stagnato, ardente, in codesta fase del rituale, mantenendo ognuno la propria «personalità»: non impastarsi e neppure aggrumarsi. Burro, quantum sufficit, non più, ve ne prego; non deve far bagna, o intingolo sozzo: deve untare ogni chicco, non annegarlo. Il riso ha da indurarsi, ho detto, sul fondo stagnato. Poi a poco a poco si rigonfia, e cuoce, per l’aggiungervi a mano a mano del brodo, in che vorrete esser cauti, e solerti: aggiungete un po’ per volta del brodo, a principiare da due mezze ramaiolate di quello attinto da una scodella «marginale», che avrete in pronto. In essa sarà stato disciolto lo zafferano in polvere, vivace, incomparabile stimolante del gastrico, venutoci dai pistilli disseccati e poi debitamente macinati del fiore. Per otto persone due cucchiani da caffè. Il brodo zafferanato dovrà per tal modo aver attinto un color giallo mandarino: talchè il risotto, a cottura perfetta, venti ventidue minuti, abbia a risultare giallo arancio: per gli stomaci timorati basterà un po’ meno, due cucchiani rasi, e non colmi: e ne verrà un giallo chiaro canarino. Quel che più importa è adibire al rito un animo timorato degli dèi e reverente del reverendo Escolapio o per dir meglio Asclepio, e immettere nel sacro «risotto alla milanese» ingredienti di prima qualità: il suddetto Vialone con la suddetta veste lacera, il suddetto Lodi (Laus Pompeia), e i suddetti spicchi di cipolle tenere; per il brodo, un lesso di manzo con carote sedani, venuti tutti e tre dalla pianura padana, non un toro pensionato, di animo e corna balcaniche: per lo zafferano consiglio Carlo Erba Milano in boccette sigillate: si tratterà di dieci dodici, al massimo quindici, lire a persona: mezza sigaretta! Non ingannare gli dèi, non obliare Asclepio, non tradire i familiari, né gli ospiti che Giove Xenio protegge, per contendere alla Carlo Erba il suo ragionevole guadambio. No! Per il burro, in mancanza di Lodi potranno sovvenire Melegnano Casalbuttano Soresina; Melzo, Casalpusterlengo; tutta la bassa milanese al disotto della zona delle risorgive, dal Ticino all’Adda e insino a Crema e Cremona. Alla margarina dico no! E al burro che ha il sapor delle saponette: no! Tra le aggiunte pensabili, anzi consigliate o richieste dagli iperintendenti e ipertecnici, figurano le midolle di osso (di bue) previamente accantonate e delicatamente serbate a tanto impiego in altra marginale scodella. Si sogliono deporre sul riso dopo metà cottura all’incirca: una almeno per ogni commensale: e verranno rimestate e travolte dal mestolo (di legno, ancora), con cui si adempia all’ultimo ufficio risottiero. Le midolle conferiscono al risotto, non più che il misuratissimo burro, una sobria untuosità: e assecondano, pare, la funzione ematopoietica delle nostre proprie midolle. Due o più cucchiai di vin rosso e corposo (Piemonte) non discendono da prescrizione obbligativa, ma, chi gli piace, conferiranno alla vivanda quel gusto aromatico che ne accelera e ne favorisce la digestione. Il risotto alla milanese non deve essere scotto, ohibò, no! Solo un po’ più che al dente sul piatto: il chicco intriso ed enfiato de’ suddetti succhi, ma chicco individuo, non appiccicato ai compagni, non ammollato in una melma, in una bagna che riuscirebbe spiacevole. Del parmigiano grattugiato è appena ammesso, dai buoni risottai; è una cordializzazione della sobrietà e dell’eleganza milanesi. Alle prime acquate di settembre, funghi freschi nella casseruola; o, dopo San Martino, scaglie asciutte di tartufo dallo speciale arnese affetta-trifole potranno decedere sul piatto, cioè sul risotto servito, a opera di premuroso tavolante, debitamente remunerato a cose fatte, a festa consunta. Né la soluzione funghi, né la soluzione tartufo arrivano a pervertire il profondo, il vitale, nobile significato del risotto alla milanese.”
"Un atto di libertà" (José Avillez)
"Creare è un atto di libertà con possibilità infinite di espressione.
In cucina, gli ingredienti, le tecniche, a tecnologia, le ricette, le
elaborazioni e i concetti stanno al servizio della creatività
trasformandola in un mondo di infinite possibilità".
"Criar é um acto de liberdade com possibilidades infinitas de
expressão. Na cozinha, os ingredientes, as técnicas, a tecnologia, as
receitas, as elaborações e os conceitos estão ao serviço da
criatividade transformando-a num mundo de infinitas possibilidades".
José Avillez, Belcanto, Lisboa
Il palato di Don Luis
Mi piacciono le aringhe sott'olio come si preparano in Francia e le sardine marinate all'aragonese, nell'olio di oliva, aglio e timo. Mi piacciono anche il salmone affumicato, il caviale, ma sono di gusti generalmente semplici, poco raffinati. Non sono un buongustaio. Due uova al tegamino con "chorizo" mi danno più felicità di tutte le squisitezze del mondo.
Luis Bunuel, ("Dei miei sospiri estremi")
Luis Bunuel, ("Dei miei sospiri estremi")
Da "Il fascino discreto della borghesia" |
"Champagne e buon cibo"
"Datemi champagne e buon cibo e io sono in paradiso!"
(Marilyn Monroe)
Si dice che Marilyn fosse un'ottima cuoca. Si sa che possedesse le copie di due libri di cucina "Fannie Farmer" e "The joy of cooking"(entrambi, dopo la sua morte, furono poi messi all'asta a cifre astronomiche).
Si dice che odiasse i ristoranti, che preferisse mangiare a casa sua e che le uniche cose che ordinasse, fuori, fossero spremute di arancia, carote crude, uova e latte.
A 26 anni, in un'intervista confessò che a colazione si scaldava una tazza di latte nella tanza dell'hotel, vi rompeva dentro due uova, le sbatteva con una forchetta e beveva l'intruglio mentre si vestiva.
Ovviamente stava molto attenta a che cosa mangiava. Quando voleva dimagrire, seguiva un regime che oggi definiamo Atkins. A colazione toast, uova e pompelmo. A pranzo bistecca e insalata. Non abbandonò però mai gli alcolici, in particolare la vodka.
Il peso di Marilyn restò sempre tra i 52 e i 54 kg., arrivando a 63 durante il matrimonio con Arthur Miller (la colpa è sempre degli altri...)
Qui sotto, Marilyn e una rara foto della cucina di casa sua.
(Marilyn Monroe)
Si dice che Marilyn fosse un'ottima cuoca. Si sa che possedesse le copie di due libri di cucina "Fannie Farmer" e "The joy of cooking"(entrambi, dopo la sua morte, furono poi messi all'asta a cifre astronomiche).
Si dice che odiasse i ristoranti, che preferisse mangiare a casa sua e che le uniche cose che ordinasse, fuori, fossero spremute di arancia, carote crude, uova e latte.
A 26 anni, in un'intervista confessò che a colazione si scaldava una tazza di latte nella tanza dell'hotel, vi rompeva dentro due uova, le sbatteva con una forchetta e beveva l'intruglio mentre si vestiva.
Ovviamente stava molto attenta a che cosa mangiava. Quando voleva dimagrire, seguiva un regime che oggi definiamo Atkins. A colazione toast, uova e pompelmo. A pranzo bistecca e insalata. Non abbandonò però mai gli alcolici, in particolare la vodka.
Il peso di Marilyn restò sempre tra i 52 e i 54 kg., arrivando a 63 durante il matrimonio con Arthur Miller (la colpa è sempre degli altri...)
Qui sotto, Marilyn e una rara foto della cucina di casa sua.
Iscriviti a:
Post (Atom)