domenica 31 dicembre 2017

"Nervetti, trippa, guance"


 
Pietanza
Una pietanza sopravvalutata?
«Il filetto di manzo. Io non lo mangio, è un taglio di carne troppo neutro. Meglio tagli più complessi: nervetti, trippa, guance» [Antonia Klugman a Fabrizio Biasin, Libero].

Lenticchie alla julienne

Piatti
Piatti che Antonio Albanese cita nel suo Lenticchie alla julienne (Feltrinelli) tra poco nelle librerie: «gabbiano in crosta», «patè d’animo», «brodo alla griglia» ecc. «Un giorno mi è capitato di ordinare un brodo, in cui avevano spremuto del bergamotto. Mi sono arrabbiato, e mi hanno risposto che era un brodo fluttuante» [Fulvia Caprara, La Stampa]
 

giovedì 21 dicembre 2017

Pizza (by Macaulay Culkin)

Macaulay Culkin eating a slice of pizza

L'hamburger di Andy

L'hamburger di Andy


L’ambiguità dell’hamburger
By Carlo Spinelli - 20 dicembre 2017
 
Da Duchamp a Warhol, da Oldenburg a Tom Friedman, sono tanti gli artisti che hanno scelto l’hamburger come soggetto delle loro opere. Carlo e Aldo Spinelli analizzano il fenomeno, con un occhio al passato e l’altro rivolto al futuro.

In sostanza non è altro che una polpetta di carne trita. Anche se si potrebbe sottilizzare, sostenendo che la polpetta ha un aspetto che tende allo sferico mentre l’hamburger è appiattito, decisamente schiacciato ai poli, quasi a voler assomigliare a una più sottile e compatta bistecca, caratterizzata per di più da un’artificiosa forma circolare. Allo stesso tempo, a dimostrazione dell’estrema importanza del rapporto tra forma e funzione, l’hamburger si adegua morfologicamente alle due fette di pane che lo contengono, per prestarsi più comodamente a essere addentato.
Cosa che non può accadere con gli hamburger presentati come scultura in gallerie d’arte e musei. Infatti, non solo non sono commestibili ma si caratterizzano soprattutto per le loro dimensioni mastodontiche: il Floor Burger di Claes Oldenburg, realizzato con tela, gommapiuma e cartone nel 1962, misura 213,4 centimetri di diametro per l’altezza di 1 metro e 32. Dopo l’esposizione alla Galleria Sidney Janis di New York fu acquisito da un museo canadese, l’Art Gallery of Ontario di Toronto. La poco entusiastica reazione di un gruppo di studenti prese forma in una altrettanto gigantesca bottiglia di ketchup, di plastica gonfiabile e posta all’ingresso del museo con l’intenzione di farne una donazione, manifestando intenti esplicitamente polemici nei confronti dell’acquisto del capolavoro della Pop Art, una tra le prime sculture morbide di Oldenburg. Nello stesso anno, lo stesso artista ha realizzato anche una coppia di cheeseburger, questa volta in tela sagomata e dipinta a smalto, ma dalle dimensioni molto più contenute, quasi a grandezza naturale: 17,8 x 37,5 x 21,8 centimetri.



L’HAMBURGER SECONDO WARHOL
Parecchi anni dopo (nel 1985), Andy Warhol ha ripreso il tema del medaglione di carne da fast food per adattarlo alla sua poetica dell’immagine di oggetti quotidiani, portati a diventare icone del consumismo, oggetti elevati a soggetti ripetuti a oltranza sul quadro fino a trasformare la loro quantità in qualità. Ecco dunque il Double Hamburger, dove sulla grandissima tela (295 x 615 centimetri) la forma approssimata del panino con i suoi colori piatti e innaturali è ridotta ai minimi termini dell’essenzialità, ellissi sovrapposte che quasi tendono ad assomigliare a un disco volante o a un biscotto. Non a caso, alla domanda “Che cosa ami mangiare?”, Warhol rispondeva: “Solo cibo semplice. Semplice cibo americano”. Dalle parole ai fatti: nel 1981 l’artista è stato il protagonista di un video in cui, per circa quattro minuti e mezzo, non fa altro che aprire un sacchetto, estrarre un hamburger, versare sulla carta un poco di ketchup in cui intingere il panino e poi gustarselo in tranquillità. Alla fine, dopo aver accuratamente raccolto un pezzetto di pane avanzato e il tovagliolo di carta nel sacchetto, segue una lunga pausa in silenzio (ben 48 secondi) per concludere poi il filmato con la necessaria quanto scontatamente ovvia affermazione: “My name is Andy Warhol and I’ve just finished eating a hamburger”. Questo video, girato dal regista danese Jørgen Leth, ben rappresenta la personalità di Warhol: timido e mistico nell’interpretazione assolutamente anodina, si pone davanti alla telecamera come se fosse seduto al fast food in mezzo alla folla; i suoi gesti non sono “interpretati” anche se, nella loro normalità, acquistano un carattere quasi liturgico. Ma al di fuori della “rappresentazione”, l’artista impone i suoi gusti precisi rifiutando la confezione di un hamburger anonimo e preferendo quella di Burger King anche se, prima della registrazione, manifesta un deciso apprezzamento per le qualità estetiche di McDonald’s, “quello che ha la confezione più bella di tutte”.

TRA PASSATO E FUTURO
Ancora gigantesco è il Big Big Mac, l’hamburger di gomma realizzato da Tom Friedman nel 2013. Senza assumere l’apparente connotazione pop, questa scultura gioca con la dinamica relazione tra immagine complessiva e dettaglio, tra il generale che occupa per intero lo sguardo e il piccolo particolare che si nota soltanto a distanza ravvicinata. Ma l’ambiguità dell’hamburger riserva altre sorprese. Infatti, anche da cruda la polpetta di carne trita suggerisce a Marcel Duchamp la preparazione di una tartare da presentare su un piatto bianchissimo, “in modo che nessun elemento estraneo disturbi la distribuzione degli ingredienti”. Eccoli: mezza libbra di carne trita di manzo, due uova, una cipolla bianca tritata, capperi, filetti di acciuga, prezzemolo, olive e foglie di sedano tritati finemente. “Ogni ospite, con il piatto davanti a sé, mescola con la forchetta gli ingredienti […]; al centro della tavola pane di segale, burro e una bottiglia di vino rosato”.
Questo il passato. Ma il futuro dell’hamburger? Da un punto di vista gastronomico è già realtà la carne sintetica, ricavata da colture di cellule staminali di mucca. Una prima porzione è stata cucinata quattro anni fa per una clientela selezionatissima, che ha giudicato questo hamburger privo di gusto perché non ha grasso, ma molto simile alla carne vera. Anche se per ora è un po’ caro: 250mila euro per i suoi 150 grammi di materia prima! E dal proliferare di queste cellule sono sorte le innovative proposte dello scienziato/filosofo/artista olandese Koert van Mensvoort: utilizzare questa fibra di carne per la realizzazione di opere d’arte con la tecnica del tricotage o dell’uncinetto.

Carlo e Aldo Spinelli

martedì 22 agosto 2017

sabato 12 agosto 2017

Marmelade

"La parola inglese marmalade indica solo marmellata di agrumi; ogni altra marmellata si chiama jam. Mrs. Grace Thompson, di professione scrittrice di biografie, professione tipicamente inglese, dalla quale ero ospite nella sua residenza londinese di Fellows Road, mi raccontò che la marmellata di arance era stata inventata in Francia per guarire Maria Stuarda, là rifugiata, da una malattia che l’aveva colpita. Da la confiture de Marie malade sarebbe derivata la parola marmalade. Una spiegazione che soddisfa poco, lo ammetto.
In realtà, la parola deriva dal portoghese marmelada, che però significa marmellata di marmelos, cioè di mele cotogne. Di conseguenza, dicendo «marmellata di arance» si commette lo stesso errore (teorico) di quando si dice «bistecca di maiale», dato che bistecca (beefsteak) vuol già dire bistecca di manzo; oppure di quando si dice «a cavallo di un mulo», oppure «si asciugava i capelli con un asciugamano». Sono errori teorici, in pratica va benissimo così. L’ultimo di questi apparenti errori, cioè «atterrare sulla Luna», è stato corretto inventando il verbo allunare. Se sulla Terra si atterra, dicono, sulla Luna si alluna.
È un ragionamento che non regge. Infatti, la terra di atterrare non indica il pianeta Terra ma semplicemente una superficie solida qualsiasi; come «a cavallo» si può essere non solo di un cavallo ma anche di un mulo, di un somaro, o di altre bestie, come la tigre, ancora più diverse dal cavallo iniziale. Oppure, per essere logici, vogliamo dire «a somaro» di un somaro?
Se fosse giusto allunare per la Luna, si dovrebbe dire avvenerare per Venere, ammartare per Marte, assaturnare per Saturno, applutonare per Plutone e, essendovi teoricamente miliardi di «punti di atterraggio», bisognerebbe, teoricamente, usare miliardi di verbi diversi per dire la stessa cosa".


(Aldo Buzzi, Čechov a Sondrio)

lunedì 7 agosto 2017

Sturehof restaurant, Stockholm, Sweden, 1940


Sturehof restaurant, Stockholm, Sweden, 1940.

Dice Claudette

Troppo spesso ho visto quel che avviene della commedia familiare quando la moglie prende a un tratto la decisione di sottoporsi a una dieta dimagrante perché è troppo grassa. Una moglie può acquistare una lingua pungente molto prima d'avere un vitino di vespa.
Anche Jean Kerr, autrice di Per favore non mangiate le margherite è convinta che i mariti preferiscono avere una moglie rotonda piuttosto che furibonda. «Quel che tiene legato il marito nella buona e nella cattiva sorte» ha scritto «è la donna con la quale egli si diverte a stare insieme. E qualsiasi donna che dalle nove del mattino alle sette di sera ha mangiato soltanto tre uova sode, può essere una compagnia piacevole quanto quella di un agente delle tasse.»
Tutti gli esperti sembrano essere d'accordo nel sostenere che una saggia alimentazione sia il mezzo migliore per diventar magri e rimanere magri. Tuttavia, se proprio volete seguire una dieta dimagrante, per amor del Cielo, abbiate pietà dei vostri mariti: diteglielo prima. Le mogli dovrebbero avere almeno l'onestà di portare un distintivo: «Attenzione! Donna a regime!» Una piccola precauzione del genere potrebbe salvare un matrimonio.



Claudette Colbert (da This Week Magazine; citato in Selezione dal Reader's Digest, novembre 1962)
Claudette Colbert, all'anagrafe Émilie Claudette Chauchoin, detta Lily (Saint-Mandé, 13 settembre 1903 – Speightstown, 31 luglio 1996), attrice statunitense.

domenica 30 luglio 2017

Federico Fellini, citato in Charlotte Chandler, Fellini, 1995

La vita è una combinazione di pasta e magia.
Federico Fellini, citato in Charlotte Chandler, Fellini, 1995

I film sono la magia, la pasta la realtà. O è il contrario? Non sono mai stato molto bravo a distinguere tra ciò che è reale e ciò che non lo è.
Federico Fellini, citato in Charlotte Chandler, Fellini, 1995

Marco Lodoli, Domenico e gli gnocchi del Pigneto


«Ridi ridi, che mamma ha fatto i gnocchi»: così, ancora oggi, ci si rivolge ai bambini invasi da una gioia tanto irrefrenabile quanto incomprensibile. L'unico motivo per spiegare quella felicità potrebbe essere un bel piatto di gnocchi, ergo - come dicevano i sillogisti in vena di sofismi - gli gnocchi sono il massimo bene possibile.


Marco Lodoli, Domenico e gli gnocchi del Pigneto, su la Repubblica, 2012

Talmud, II-V sec.

La pace è per il mondo quello che il lievito è per la pasta.


Talmud, II-V sec.

Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, 1891

Se è vero, come dice Alessandro Dumas padre, che gli Inglesi non vivono che di roast-beef e di budino; gli olandesi di carne cotta in forno, di patate e di formaggio; i Tedeschi di sauer-kraut e di lardone affumicato; gli Spagnuoli di ceci, di cioccolata e di lardone rancido; gl'ltaliani di maccheroni, non ci sarà da fare le meraviglie se io ritorno spesso e volentieri sopra ai medesimi, anche perché mi sono sempre piaciuti; anzi poco mancò che per essi non mi acquistassi il bel titolo di Mangia maccheroni.


Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, 1891

Giovanni Boccaccio, Decameron, ca. 1353


In una contrada che si chiamava Bengodi, [...] eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e ravioli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n'aveva.


Giovanni Boccaccio, Decameron, ca. 1353

Aldo Fabrizi, Er mortorio, La pastasciutta, 1971


Appresso ar mio num vojo visi affritti, / e pe’ fa’ ride pure a ‘st’occasione / farò un mortorio con consumazione… / in modo che chi venga n’approfitti. / Pe’ incenso, vojo odore de soffritti, / ‘gni cannela dev’esse un cannellone, / li nastri – sfoje all’ovo e le corone / fatte de fiori de cocuzza fritti. Li cuscini timballi de lasagne, / da offrì ar momento de la sepportura / a tutti quelli che “sapranno” piagne. / E su la tomba mia, tutta la gente / ce leggerà ‘sta sola dicitura: / "Tolto da questo mondo troppo al dente”.


[Dietro al mio non voglio visi afflitti / e per far ridere pure in quest'occasione / farò un funerale con consumazione... / in modo che chi venga ne approfitti. / Per incenso, voglio odore di soffritti, / ogni candela dev'essere un cannellone, / i nastri – sfoglie all'uovo e le corone / fatte di fiori di zucca fritti. I cuscini timballi di lasagne, / da offrire al momento della sepoltura / a tutti quelli che “sapranno” piangere. / E sulla tomba mia, tutta la gente / ci leggerà questa sola dicitura: / "Tolto da questo mondo troppo al dente”].


Aldo Fabrizi, Er mortorio, La pastasciutta, 1971 [Traduzione in italiano a cura di Aforismario]

Giuseppe Prezzolini, Maccheroni e C., 1957

La parola pasta risale dal greco pastè; ed è semplicemente incredibile ritrovarla conservata così intatta dopo dei secoli, sicché quando oggi chiediamo al cameriere che ci porti un piatto di paste asciutte parliamo all'incirca come gli ateniesi di duemila e cinquecento anni fa.


Giuseppe Prezzolini, Maccheroni e C., 1957 [2]

William Somerset Maugham, Ashenden, 1928


Mi piacciono tutte le cose semplici, uova sode, ostriche e caviale, truite au bleu, salmone ai ferri, agnello arrosto (la sella, preferibilmente), fagiano freddo, torta di melassa, budino di riso. Ma di tutte le cose semplici la sola che posso mangiare ogni giorno, non solo senza noia ma con l'avidità di un appetito inalterato dall'eccesso, è la pastasciutta.


William Somerset Maugham, Ashenden, 1928

Manifesto della cucina futurista, 1930


Crediamo anzitutto necessaria l'abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana. Forse gioveranno agli inglesi lo stoccafisso, il roast-beef e il budino, agli olandesi la carne cotta col formaggio, ai tedeschi il sauer-kraut, il lardone affumicato e il cotechino; ma agli italiani la pastasciutta non giova.


Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto della cucina futurista, 1930